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6 Marzo 2025
4 marzo 2025

La musica a scuola: un linguaggio che trasforma

Un giovane professore e musicista racconta il mondo della scuola attraverso i suoi canali social.

Intervista a Tommaso Severgnini
insegnante, musicista e content creator
Tempo di lettura: 8 minuti
La scuola, per sua vocazione, è un luogo dove si incontrano le generazioni, e dove si scontrano tradizione e innovazione, passato e futuro. A connetterli, talvolta ci sono dei ponti: strumenti potenti come la musica, megafoni straordinari come i social media, giovani insegnanti appassionati come Tommaso Severgnini. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua esperienza di docente e comunicatore.

Dove insegni e di quali materie ti occupi?

La scuola dove insegno è un centro di formazione professionale regionale dove si studia per diventare elettricisti e meccanici. Ho iniziato otto anni fa, a 26 anni, insegnando inglese e laboratorio espressivo, un corso che prevede la commistione di più linguaggi, dalla musica al teatro, per lavorare sulle capacità espressive e argomentative dei ragazzi, ma anche sul loro spirito critico. È stato il preside, valutando il mio curriculum ricco di esperienze musicali e teatrali, a propormi questo corso.

L’utenza della mia scuola è molto varia, i ragazzi hanno diverse provenienze e la mia laurea in Mediazione linguistica e culturale mi è stata di aiuto: la multiculturalità è una sfida, ma soprattutto un arricchimento per me e per i miei studenti.

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Musica e scrittura

Quali sono le specificità dell’insegnamento musicale, quali obiettivi educativi si possono raggiungere attraverso questo linguaggio?

Insegnare musica offre la possibilità di un confronto continuo, che aiuta me a rimanere aperto rispetto alle novità e gli studenti a esplorare generi che non ascolterebbero mai di loro iniziativa.

In questi anni ho sentito spesso parlare della musica come di un linguaggio universale a cui si accede in modo immediato. Sono arrivato alla conclusione che non è così: certo, la musica è un mezzo potente, ma servono chiavi di accesso. La musica diventa comprensibile quando si è abituati a viverla. L’ho sperimentato in prima persona con il genere trap, il più frequentato dai miei studenti. Quando hanno iniziato ad affermarsi i primi trapper, confesso che ho avuto una reazione perplessa, di rigetto. Poi con il tempo mi sono abituato a quel contesto sonoro. Ora, anche se la comunicazione verbale della trap mi trova spesso in disaccordo, a livello musicale è diventata parte del mio bagaglio, la comprendo. Lo stesso capita ai miei ragazzi quando propongo loro dimensioni musicali più distanti dalle loro abitudini. Mi illumino quando apprezzano musica che appartiene al passato, alla mia cultura. Magari sono brani degli anni Settanta o Ottanta, che a loro sembrano di epoche remote: sono molto meno abituati della mia generazione a ricercare musica di altri periodi, vanno stimolati a farlo.

A volte c’è anche qualcuno che, in seguito alle lezioni, decide di intraprendere lo studio di uno strumento. Qualche settimana fa sono capitato in un locale vicino a Erba per un contest musicale e ho incontrato un ex studente che suonava la chitarra in uno dei gruppi presenti. Lo avevo avuto in classe solo tre mesi, ma ha detto che le mie lezioni lo hanno ispirato a cominciare a suonare. Una bella gratificazione.

Quali sono per te le soddisfazioni più grandi dell’insegnamento?

Sicuramente una delle gratificazioni più grandi si ha quando un ex studente, dopo anni, ti ringrazia per ciò che è diventato. Ma sempre più sto scoprendo che anche nel breve termine, nella quotidianità, si possono avere soddisfazioni. Capita di avere ragazzi in prima che provengono da contesti complicati o estremi, anche da famiglie legate allo spaccio e alla criminalità organizzata, che in partenza sono ingestibili, vengono a scuola solo perché costretti. A volte, dopo uno o due anni, iniziano a comprendere che gli insegnanti non esistono solo per vessarli, ma per offrire loro qualcosa, che la scuola può portarli a vivere una situazione migliore.

Come è nato il tuo desiderio di raccontare la scuola attraverso i social?

Prima di questo progetto avevo un canale YouTube dove parlavo di musica, ma non avevo mai pensato di creare video sulla scuola. Poi, l’anno scorso, l’istituto dove insegno ha vinto un bando finalizzato a creare attività extracurricolari pomeridiane per ragazzi con situazioni familiari fragili. Tra le attività avevo un corso di recitazione e video editing per i social media. Mi ero preparato ad accogliere un piccolo gruppetto, progettando esercizi di training teatrale, ma il primo giorno si è presentato un solo studente. A quel punto ho deciso di improvvisare, ideando insieme a lui un video per i social. Abbiamo deciso di dedicarlo alla vita in classe. Visto che il mio studente, minorenne, non poteva essere ripreso, mi ha filmato mentre esprimevo alcune reazioni ironiche a ciò che succedeva a scuola. Il video ha totalizzato un milione di visualizzazioni in una settimana. Da lì è nato tutto.

Che tipo di interazioni hanno i tuoi canali social? Qual è il tuo pubblico e qual è di solito il tenore degli scambi e dei commenti che ricevi?

Dipende molto dal canale. Per esempio, su Facebook il 75% del pubblico è femminile, ha più di 45 anni e spesso è composto da insegnanti. Su YouTube, i dati indicano una fascia d’età tra i 18 e i 30 anni, ma dalle interazioni ho l’impressione che ci siano molti ragazzini delle medie che usano gli account di fratelli o genitori. Se consideriamo tutti i canali, il pubblico va dagli 8 ai 70 anni, la maggior parte sono insegnanti e studenti, ma non ci sono solo loro, la scuola in fondo riguarda tutti.

Racconto brevi spaccati di vita, in cui anche le incomprensioni che possono sorgere con i ragazzi sono lette in chiave comica. Le interazioni sono di solito molto positive, anche se, come sempre sui social, non mancano le critiche. A volte ce l’hanno con i miei capelli lunghi, il mio modo di vestire informale, altre si scagliano contro alcuni video dissacranti, come quelli che ho ideato insieme ad altri content creator sulle differenze tra i diversi indirizzi (licei, istituti professionali ecc.). Tendenzialmente evito di rispondere alle offese, perché non credo che i social siano il luogo giusto per educare. I commenti più duri arrivano da adulti legati a una visione del docente molto formale e iperistituzionale, un modello che non mi rispecchia.

Uno degli obiettivi del mio progetto di comunicazione sui social è proprio quello di umanizzare e, in un certo senso, svecchiare la figura del professore, un cambiamento che ritengo necessario per diminuire la distanza tra gli insegnanti e i ragazzi.

Uno degli obiettivi del mio progetto di comunicazione sui social è proprio quello di umanizzare e, in un certo senso, svecchiare la figura del professore, un cambiamento che ritengo necessario per diminuire la distanza tra gli insegnanti e i ragazzi.

Dal tuo osservatorio, cosa credi che manchi di più nella scuola di oggi?
Credo che uno dei punti su cui lavorare sia la salute mentale. Certo, negli ultimi anni, sono stati fatti molti passi, molte scuole si sono attrezzate di uno sportello d’ascolto. Ma penso che manchino ancora le basi, un’infarinatura su questo tema. L’ho sperimentato in prima persona quando, a 22 anni, ho iniziato a fare psicoterapia e ho finalmente riconosciuto alcune dinamiche ansiose che mi portavo dietro da anni, e a cui non sapevo dare un nome. Ho appreso categorie e parole, un vocabolario che mi aiuta a capirmi meglio. Sarebbe importante fornire qualche strumento agli studenti, attraverso un orientamento alla salute mentale.

Un’altra cosa che manca è un’introduzione pragmatica ad argomenti economici: cos’è uno stipendio? Come funziona? E un mutuo? Sono passaggi che gli studenti dovranno affrontare e a cui spesso arrivano impreparati.

Infine, riguardo la formazione degli insegnanti, credo sarebbe utile dare la possibilità a chi, dopo la laurea, vuole cimentarsi in questo mestiere di insegnare da subito attraverso un tirocinio retribuito, di mettersi alla prova in classe. Non c’è nulla che consolidi le conoscenze accademiche come insegnare, e farlo subito dopo la laurea permetterebbe a molti giovani di accedere a questa professione in un momento in cui sono pieni di energie e di entusiasmo.

di Eleonora Recalcati
Tommaso Severgnini
è insegnante, musicista e content creator. Laureato in Mediazione interlinguistica e interculturale, insegna Laboratorio Espressivo presso il Centro di Formazione Professionale Enfapi e canto moderno presso Farm Academy, entrambe realtà con sede a Erba (CO). Ha diversi progetti musicali, anche da solista. È frontman di diverse band e polistrumentista per gli Sticky Fingers, la più importante tribute band italiana dei Rolling Stones. È content creator come Prof. Major7even su Instagram, YouTube, TikTok e Facebook.

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