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© Marco Foglia
18 Febbraio 2025
18 febbraio 2025

Il teatro a scuola: un’esperienza di crescita attraverso la relazione

Dal palco alla classe: obiettivi e modalità di una pratica che lavora sulla consapevolezza di sé e degli altri attraverso una storia.

Intervista a Tobia Rossi
drammaturgo e sceneggiatore, autore dello spettacolo Nascondino che ha ispirato un progetto pedagogico in diverse città di Italia.
Tempo di lettura: 8 minuti
Il linguaggio teatrale può permettere agli studenti di vivere più concretamente, con il proprio corpo, i temi della letteratura, ma soprattutto di lavorare sul gruppo. Prendendosi cura di una scena è possibile imparare a stare con gli altri in modo diverso.

Cosa ti ha portato come drammaturgo a interessarti al mondo della scuola e a progettare laboratori per i ragazzi?

L’interesse per la forma laboratoriale e per la pedagogia fa parte della mia formazione. Dopo la Scuola Paolo Grassi di Milano, nel 2008 ho frequentato il Centro di Ricerca per il Teatro (CRT), una scuola fondata da Sisto Della Palma che ora non è più attiva. Questa scuola mirava a formare non solo autori teatrali, ma anche operatori di teatro nel sociale e nelle scuole. Il teatro insegnato al CRT era strettamente legato alle pratiche laboratoriali, alla contaminazione, nella convinzione che scrivere un testo drammaturgico e condurre una sessione di laboratorio fossero facce della stessa medaglia

Quando hai scritto Nascondino avevi già previsto di svilupparlo come progetto pedagogico?

Quando l’ho scritto non immaginavo che sarebbe diventato un progetto così articolato e che alla fine si sarebbe trasformato anche in un romanzo (Cosa siamo nel buio, Mondadori 2024). La storia parla di due adolescenti apparentemente distanti che si incontrano e si scoprono nel rifugio in cui uno dei due, in fuga da scuola e famiglia, si sta nascondendo da giorni. È stata l’inventiva del produttore Giuseppe Di Falco a individuare la rilevanza pedagogica dei temi dello spettacolo (l’accettazione di sé e dell’altro, il bullismo, la scoperta dell’amore) e a mettermi in contatto con l’Associazione Montessori di Brescia. Da qui è partita la collaborazione con il professore di pedagogia dell’Università Bicocca, Raffaele Mantegazza. La prima tappa del progetto è stata la scelta dei due attori protagonisti, che è avvenuta attraverso un laboratorio di due giorni, condotto da me, dal regista e dal professor Mantegazza, a cui hanno partecipato ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Grazie a questa modalità laboratoriale, siamo riusciti a progettare un’esperienza formativa che ha lasciato qualcosa a tutti, anche a chi non è stato scelto per interpretare i due ruoli. Una volta allestito e messo in scena lo spettacolo, il progetto pedagogico ha poi previsto incontri con gli studenti delle scuole secondarie alla fine di ogni replica: un’agorà in cui il professore, dialogando con i ragazzi, ha esplorato i temi principali dell’opera, offrendo spunti di collegamento con autori antichi e contemporanei, da Platone e David Foster Wallace.
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Un’istantanea dello spettacolo “Nascondino“. Foto di © Marco Foglia

Tornando invece ai laboratori teatrali che conduci a scuola, quali sono i tuoi obiettivi?

Nei laboratori che tengo nelle scuole secondarie di primo e secondo grado propongo esperienze che esplorino il linguaggio teatrale e portino alla luce ciò che può offrire alla vita di tutti i giorni. Non sono mai sessioni finalizzate a una preparazione tecnica o a una performance, né un semplice intrattenimento. C’è anche un aspetto culturale, legato alla scoperta dei testi, degli autori. Ma il mio obiettivo principale è soprattutto relazionale: il teatro insegna a stare con gli altri in modo diverso. Cerco di creare un gruppo che possa occuparsi insieme di una storia, farla crescere. La storia diventa un pretesto, un oggetto che si mette al centro e che permette a tutti di essere equidistanti e di riconoscersi parte dello stesso progetto. La dinamica può cambiare a seconda che si tratti di un laboratorio di classe o di sessioni pomeridiane facoltative, ma l’aspetto relazionale rimane cruciale.

C’è anche un aspetto culturale, legato alla scoperta dei testi, degli autori. Ma il mio obiettivo principale è soprattutto relazionale: il teatro insegna a stare con gli altri in modo diverso. Cerco di creare un gruppo che possa occuparsi insieme di una storia, farla crescere.

Nel laboratorio teatrale che ruolo ha il docente curricolare?

Senza la complicità dell’insegnante di riferimento è molto difficile che il mio lavoro abbia successo. La triangolazione con le sue aspettative e il suo gusto è fondamentale. Un esempio è il lavoro che sto facendo con una terza media della Quintino di Vona, una scuola milanese all’avanguardia, su La metamorfosi di Kafka. In questo caso è stata l’insegnante di tedesco a proporre la storia e a condurre con gli studenti un lavoro preliminare di presentazione dell’autore e di analisi del testo. All’inizio non ero convintissimo della scelta, ma ho dovuto ricredermi: rileggendo la storia di Gregor Samsa e della sua trasformazione, mi ha stupito la sua accessibilità e la potenza delle domande che può suscitare in un’età di trasformazione. Siamo partiti proprio da queste domande, ponendole ai ragazzi: in cosa ti vorresti trasformare? Cosa perderesti se diventassi un oggetto, un animale, un’altra persona? I ragazzi hanno empatizzato molto con le emozioni, anche fisiche, suscitate dal testo: la fatica di alzarsi dal letto del protagonista, il ritrovarsi in un corpo diverso. Grazie alla collaborazione con il Goethe Institut abbiamo poi visitato una mostra dedicata ai fumetti ispirati all’universo kafkiano, lavorando anche sulle immagini.

Come avviene materialmente il laboratorio? Quali azioni compiono i ragazzi? C’è uno spettacolo finale a cui si devono preparare?

Ci sono molti tipi di laboratorio, ma, rimanendo su La metamorfosi, è stato cruciale il lavoro preparatorio dell’insegnante che ha contestualizzato i temi e i personaggi dell’opera, permettendomi di coinvolgere subito gli studenti in una dimensione di gioco. Ho chiesto loro di immedesimarsi in Gregor, di immaginarsi un risveglio da insetto e di improvvisarne le movenze. Come faccio sempre, ho abbinato diverse modalità espressive: parlare, scrivere, muoversi nello spazio, mischiando i linguaggi del teatro per dare vita a delle scene. C’è poi il tema della “restituzione”, l’allestimento di uno spettacolo alla conclusione del percorso. Nel mio caso, voglio trasmettere che il teatro non è tanto performance quanto esperienza, un’esperienza che si condivide con un pubblico. Per questo, anche se non preparo un vero e proprio saggio finale, cerco soluzioni ibride per permettere al gruppo di confrontarsi con una platea. A volte, senza che gli studenti lo sappiano prima, invito altre classi a partecipare come spettatori. Non è necessario creare un evento per garantire la condivisione, anche se a volte l’evento può essere una gratificazione, un momento di festa e celebrazione del percorso. È necessario che ci sia una conclusione, ma alleggerita dal peso della performance.

Alla fine dei laboratori, tu e i docenti notate cambiamenti a livello di gruppo o individuali?  Non credo che il laboratorio teatrale possa trasformare una classe: non accade nulla di magico. Però, a volte, qualcosa si sblocca a livello di gruppo. Il teatro può aiutare a spostare il punto di vista del singolo verso gli altri.

Per alcuni ragazzi, anche solo guardarsi in faccia o avere un contatto fisico è difficile. Creare qualcosa con un’altra persona, come mettere in piedi una scena, affida agli studenti una responsabilità nuova. Vedo cambiamenti soprattutto in classi disgregate, con divisioni, conflitti. Tuttavia, il cambiamento è lento e non va mai forzato. All’inizio ero più intransigente con le rigidità e le antipatie dei ragazzi, cercavo di mescolarli, di scompaginare le scissioni consolidate. Ora tendo ad assecondarli e, a volte, parto proprio da queste rigidità. Se ci sono due gruppi che non vanno d’accordo, lascio che nel laboratorio si dividano come preferiscono, senza intervenire, affinché il cambiamento avvenga dal basso. A volte si getta solo un seme e il cambiamento arriva dopo mesi.
Spettacolo Nascondino

I giovani protagonisti dello spettacolo “Nascondino”. Foto di © Marco Foglia

E come ti comporti con gli allievi più timidi o con chi è restio a mettersi in gioco?

Sono gli studenti a cui dedico più attenzione e complicità. Chi desidera emergere lo fa da sé, senza bisogno di supporto particolare. Mi concentro su chi fatica, cercando di immedesimarmi nel loro punto di vista e dimostrando che rispetto la loro resistenza. Penso sia insopportabile essere costretti a un’energia che non si desidera. Cerco quindi punti di ingresso alternativi, magari affiancandoli a me come aiuti o chiedendo loro di osservare e darmi un parere. Non sempre riesco a coinvolgerli, ma è una delle cose su cui lavoro di più.

Come sintetizzeresti il ruolo principale del teatro a scuola?

Il teatro è istinto e divertimento imbrigliati in una forma che diventa racconto. Quando lo studente scopre che può fare ciò che gli piace, gridare, ballare, ridere, all’interno di un caos regolato e direzionato, associando il divertimento alla forma, porta a casa una ricchezza applicabile a molti ambiti.  
di Eleonora Recalcati
Tobia Rossi

è drammaturgo, scrittore e sceneggiatore. Nel 2019 vince il Mario Fratti Award con il testo teatrale Nascondino (Hide and Seek) prodotto dal Tank Theater di New York e rappresentato anche a Londra al Park Theatre con la produzione di Zava Productions e la pubblicazione da parte di Bloomsbury per la collana Methuen Drama. Nel 2021 sviluppa con Indiana Production Candy Crush (scritto con Giada Bossi) e nel 2024 pubblica il suo primo romanzo, Cosa siamo nel buio, edito da Mondadori. Il suo dramma Il principe dei sogni belli (2021) ha recentemente debuttato al Campania Teatro Festival per la regia di Pierpaolo Sepe. Collabora inoltre col Piccolo Teatro di Milano per il progetto Abbecedario del Mondo Nuovo e il suo I Signori dell’Universo è scelto dal Centro Teatrale Bresciano per il progetto Teatro Aperto, con l’interpretazione di Elisabetta Pozzi. Nel 2023 il suo testo Piccola bestia vince il Premio Internazionale Carlo Annoni 2023 ed è presentato in forma di lettura, nel 2024, presso il Teatro dei Filodrammatici di Milano e il Teatro Elfo Puccini. È tra gli autori del musical Miss I-Doll, di prossimo debutto presso l’Other Palace di Londra. Insegna allo IED – Istituto Europeo del Design, al Teatro Franco Parenti e alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano.

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