1. Home
  2. /
  3. Intervista
  4. /
  5. Il senso del numero in...
Giorgio Vallortigara’s Lab, Centre for Mind/Brain Sciences, Università di Trento
21 Febbraio 2025
25 febbraio 2025

Il senso del numero in pulcini e bambini

Dagli studi sperimentali sui pulcini possiamo dedurre importanti considerazioni sul nostro apprendimento della matematica.

Intervista a Giorgio Vallortigara
professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Sciences dell’Università di Trento.
Tempo di lettura: 8 minuti
Alla nascita, abbiamo già in dotazione un senso del numero, che è analogico, ci permette, cioè, di intuirne istintivamente il valore approssimato in un determinato intervallo. L’aritmetica precisa, esatta, che studiamo a scuola, è invece una invenzione culturale, il cui apprendimento si innesta sul substrato biologico innato. Le ricerche che indagano i meccanismi neurali della cognizione animale possono illuminare il rapporto tra questi due mondi.

Grazie ai risultati dei tuoi studi sperimentali, sappiamo che i pulcini nascono con la capacità innata di cogliere la numerosità di gruppi di oggetti. Di cosa si tratta?

I pulcini appartengono a una specie a prole precoce e dunque appena nati se la cavano bene dal punto di vista sensoriale e motorio. Per questa ragione possiamo condurre dei test abbastanza complessi in questi animali nati da pochi giorni, quando hanno avuto poca o pochissima esperienza. Abbiamo per esempio registrato l’attività di singoli neuroni mentre un pulcino osserva sullo schermo di un computer collezioni di dischetti, i cui parametri fisici continui (area, perimetro, densità…) possono essere sistematicamente controllati. In queste condizioni è possibile osservare l’attività di singoli neuroni che sono selettivamente sensibili alla numerosità. Così, ci sono neuroni per 1 dischetto, 2 dischetti, 3 dischetti e così via. La risposta di questi neuroni del numero è analogica anziché digitale, o continua anziché discreta. In altre parole il neurone che, per esempio, è sensibile al numero 3 mostra un picco di risposta per quella numerosità e risponde via via sempre meno a 4 dischetti, 5 dischetti… e nell’altra direzione a 2 dischetti, 1 dischetto e così via. I neuroni che si attivano per numeri piccoli sono più numerosi e precisi, ossia danno risposte più nette e meno variabili di quelli che rispondono ai numeri più grandi.

Un’altra tecnica che abbiamo usato permette di vedere quali gruppi di neuroni sono stimolati da determinati impulsi, verificando l’attivazione di alcuni specifici geni precoci. Anche in questo caso abbiamo trovato in specifiche aree del cervello popolazioni di neuroni che sono selettivamente sensibili alle numerosità.

Sull’innato e l’appreso consentimi però una specificazione. Di fatto è impossibile avere un animale totalmente privo di esperienza. Il punto è se siano necessarie specifiche esperienze istruttive affinché i neuroni mostrino selettività per le numerosità.

AI e scuola, intervista a Mario Rasetti

La capacità innata di cogliere la numerosità di gruppi di oggetti nei pulcini. © Giorgio Vallortigara’s Lab, Centre for Mind/Brain Sciences, Università di Trento

Quali vantaggi per la sopravvivenza e la riproduzione ci possono essere nel sapere distinguere a occhio le quantità?

Ci sono vantaggi enormi: dal valutare quanto cibo c’è nell’uno o nell’altro di due luoghi, allo stimare quante prede o quanti predatori hai avvistato o se convenga avvicinare questo o quell’altro gruppo di femmine… Tutti i comportamenti degli animali sono basati sulla stima di quantità. Peraltro, le quantità non sono soltanto quelle discrete e contabili, ma anche quelle continue: la distanza dalla tana, la durata del canto emesso da un conspecifico, la quantità di nettare in un fiore, quanto tempo è trascorso da quando sei andato a cercare provviste in quel fiore… Studiando i pesci zebra, più adatti dei pulcini a questo scopo, stiamo cercando di individuare i circuiti neuronali che presiedono alla valutazione delle quantità discrete (le numerosità) e di quelle continue. Abbiamo trovato che le strutture nervose sono in parte diverse e in parte sovrapponibili.

I piccoli della nostra specie nascono con capacità equivalenti?

Certamente, e mostrano di averle fin da neonati. La firma comune di questo “senso del numero” (che in letteratura è conosciuto anche come approximate number system) è fornita da una fondamentale legge di tutti i sistemi sensoriali, la legge di Weber. Questa dice che il rapporto tra l’intensità di uno stimolo e la soglia per la sua percezione è una costante. Più semplicemente, significa che quando discriminiamo, per esempio, tra due collezioni di elementi con diversa numerosità, la nostra capacità di distinguerle dipende molto più dal loro rapporto che dalla loro differenza. I neonati hanno già una capacità discriminativa per rapporti pari a 1:2 (per es. tra 2 e 4 dischetti, oppure tra 100 e 200 e così via). Poi crescendo, l’acuità per il senso del numero si affina.

La matematica è una materia da molti considerata ostica. Queste conoscenze possono aiutare insegnanti e studenti a insegnarla e a impararla in una maniera che vada maggiormente incontro alle dotazioni che abbiamo fin dalla nascita?

In effetti questa è la domanda che mi pongono insegnanti e genitori quando mi capita di parlare di queste ricerche a un pubblico di non specialisti. Come mai la matematica è così ostica per tanti studenti se il senso del numero fa parte della nostra biologia?

Bisogna considerare che quello che abbiamo come dotazione naturale è un senso approssimato del numero, che si basa su quei neuroni di cui parlavo poc’anzi. L’aritmetica precisa, quella esatta, è un’invenzione culturale recente, che poggia ovviamente sulla biologia ma che in un certo senso l’ha trascesa. Torniamo alla faccenda della legge di Weber e al fatto che la discriminazione di numerosità dipende dai rapporti. Il senso del numero non ha limitazioni in linea di principio nella discriminazione delle diverse quantità, solo che diventa via via più impreciso con il crescere delle numerosità. La legge di Weber produce due effetti. Il primo è quello della distanza: siamo più bravi e veloci a discriminare due numeri quanto più sono distanti, per cui è più facile distinguere 2 da 6 che non distinguere 2 da 3. Il secondo effetto è quello della grandezza: a parità di distanza siamo più bravi e veloci a discriminare numeri piccoli anziché grandi. Per questo è più facile distinguere 2 da 4 che non discriminare 82 da 84 oppure 1112 da 1114. L’effetto della distanza ci dice anche che mentre neonati, bambini di età prescolare e animali non umani possono tutti e con identica facilità discriminare approssimativamente 2 da 4, 100 da 200 o 15.000 da 300.000, nessuno di loro saprebbe esprimere esattamente la differenza tra 1181 e 1323. Per fare i calcoli esatti, non solo approssimati, c’è bisogno di simboli arbitrari e di procedure da applicare sui simboli (per esempio, i numeri arabi e gli algoritmi per fare le quattro operazioni, le tabelline e tutte le cose che si imparano a scuola).

Quindi per facilitare l’apprendimento della matematica è importante partire dalla consapevolezza che i bambini (e gli organismi in genere) non sono contenitori vuoti. Conoscono già un sacco di matematica, ma una matematica in versione analogica e approssimata. È proprio questa conoscenza approssimata del numero e delle quantità, già presente biologicamente nella testa dei bambini, che si può usare per favorire l’assimilazione dell’aritmetica precisa e digitale. Per esempio si potrebbero proporre giochi che coinvolgono fasi di stima approssimata seguiti da calcoli esatti: gli alunni stimano visivamente le somme prima di calcolarle esattamente, in modo da rafforzare contemporaneamente entrambe le abilità.

Dunque non esiste una opposizione tra il senso del numero approssimato e l’esattezza della matematica su cui insiste tanto la scuola. Il senso analogico non dovrebbe essere inibito da quello digitale, come invece spesso succede.

Precisamente. Non solo non deve essere inibito, ma, come abbiamo detto, l’apprendimento della matematica dovrebbe partire da lì. Ci sono adesso vari programmi e giochi al computer che sono stati sviluppati per favorire l’apprendimento dei numeri, in special modo per chi presenti i segni della discalculia, un disordine del neurosviluppo a base genetica che rende difficile cogliere il senso del numero e quindi l’associazione tra questo e il sistema arbitrario di simboli che è necessario per imparare l’aritmetica scolastica. Alcuni di questi giochi interattivi includono attività come la stima delle quantità, il confronto tra i numeri e operazioni aritmetiche di base, mentre altri sono incentrati sulla visualizzazione delle linee numeriche o sull’utilizzo di scenari del mondo reale per esercitare le abilità matematiche.

Quanti capelli ha mediamente una persona? Quanti accordatori di pianoforte lavorano a Chicago? Enrico Fermi amava risolvere problemi di questo tipo come passatempo. Insegnare ai ragazzi a risolvere problemi analoghi può andare incontro al senso innato dei numeri?

Ci sono evidenze empiriche che suggeriscono che sia così. Forse i fisici trovano così appassionanti i problemi di Fermi proprio perché, senza saperlo, stanno in questo modo esercitando il loro senso del numero!

Di frequente faccio un gioco con amici matematici e fisici, proponendo loro dei semplici test per misurare la acuità nel senso del numero. Si tratta di guardare sullo schermo di un computer e dire se ci sono più dischetti gialli o blu. Il rapporto tra dischetti gialli e blu determina la difficoltà del compito. Ebbene, tutti sono molto bravi nel test, e tutti ritengono che non abbia nulla a che vedere con la matematica. Tuttavia i dati mostrano che c’è una correlazione precisa e specifica tra capacità matematiche e acuità nel senso del numero. I bambini che in età prescolare mostrano acuità nel senso del numero quando poi vanno a scuola statisticamente hanno maggiore facilità ad apprendere l’aritmetica formale. Ci sono anche esperimenti che suggeriscono come l’esercizio in età adulta sul senso del numero possa migliorare le capacità matematiche (e non solo quelle!).

Spettacolo Nascondino

Enrico Fermi. Foto di repertorio

 

La biologia è quasi sempre un po’ imprecisa: un po’ di variabilità nelle dotazioni e negli strumenti aiuta ad affrontare l’inevitabile e imprevedibile variabilità del mondo. Può essere utile insegnare le materie scientifiche, al di là della matematica, con una minore ossessione per illusorie univocità ed esattezze?

Sì, dovremmo insegnare a cogliere la bellezza e la produttività della variabilità imperfetta. In fondo imperfezioni e variabilità sono la sorgente da cui origina ogni innovazione nel mondo biologico. Il meccanismo che la guida – variazioni alla cieca e sopravvivenza selettiva – potrebbe essere il medesimo con cui i cervelli, persino quelli dei matematici, generano idee nuove. In fondo è l’ipotesi che aveva formulato Jacques Hadamard secondo cui «dopo un lavoro preliminare cosciente, nell’inconscio si produce quella proliferazione di idee che Poincaré ha paragonato a una proiezione di atomi in ordine sparso». La proiezione in ordine sparso genera una molteplicità di strutture leggermente diverse sulle quali si può operare una cernita. Tutti e due i passaggi sono importanti, la generazione di variabilità e la selezione che viene operata su questa.

Sì, dovremmo insegnare a cogliere la bellezza e la produttività della variabilità imperfetta. In fondo imperfezioni e variabilità sono la sorgente da cui origina ogni innovazione nel mondo biologico.

di Lisa Vozza

Giorgio Vallortigara

è professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Sciences dell’Università di Trento, di cui è stato anche direttore. È stato anche per vari anni Adjunct Professor presso la School of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell’Università del New England, in Australia. È autore di più di 350 articoli scientifici su riviste internazionali e di numerosi libri divulgativi. Tra i più recenti, Pensieri della mosca con la testa storta (Adelphi, 2021, tradotto in inglese con il titolo The Origins of Consciousness per Routledge) e Born Knowing (MIT Press nel 2021, pubblicato in un’edizione rivista e aggiornata, in italiano nel 2023 con il titolo Il pulcino di Kant per Adelphi). A marzo 2025 uscirà il suo nuovo libro A spasso con il cane Luna, sempre per Adelphi. Ha ottenuto il Premio internazionale Geoffroy Saint Hilaire per l’etologia e una laurea honoris causa dall’Università della Ruhr, in Germania. È Fellow della Royal Society of Biology.

È tra i pochi scienziati europei ad avere ottenuto per due volte il prestigioso ERC Advanced Grant.

Oltre alla ricerca scientifica svolge un’intensa attività di divulgazione, collaborando con le pagine culturali di varie testate giornalistiche e riviste, quali il “Sole 24 Ore”, “Prometeo”, “la Lettura” e “Le Scienze”. In questi mesi sta completando il suo primo romanzo.

Articoli suggeriti