Oggi a che cosa pensano i ragazzi, quando si parla di clima?
Si è fatta un’idea del perché?
Io sento il bisogno di una nuova comunicazione, emotiva e narrativa. Una comunicazione che avvicini le persone e riesca a ristabilire una relazione fra uomo e ambiente.
Greta Thunberg, e il movimento dei Fridays For Future nato dalla sua opera di attivista per i diritti climatici, ha risvegliato cuori e coscienze di milioni di ragazzi in tutto il mondo…
È vero. Greta ha cominciato a usare le emozioni per sensibilizzare le persone sui temi ambientali. Infatti da quando c’è lei è cambiata totalmente la percezione del problema. Adesso tutti sanno. Non possiamo più dire che ci sia qualcuno che non è a conoscenza della questione climatica. Prima non era così. Me ne sono resa conto io stessa a lezione, facendo domande molto basilari ai miei studenti. Ho visto una trasformazione netta fra il “prima” e il “dopo” Greta Thunberg: la percezione della crisi climatica è davvero cambiata.
Non posso negare, però, che le emozioni cui il movimento dei Fridays For Future attinge sono le emozioni della paura, della catastrofe. Emozioni che non hanno innescato una reazione positiva nella cittadinanza. Al contrario, le persone spesso si sono spaventate e allontanate.
Di che cosa c’è bisogno, allora?
Io sento il bisogno di una nuova comunicazione, che avvicini le persone e riesca a ristabilire una relazione fra uomo e ambiente. Che riesca a ricucire un rapporto, almeno in parte, perduto. Vale anche, e soprattutto, per i bambini e i ragazzi: perché solo se riusciamo a conoscere e riconoscere di far parte di un pianeta dove tutto è profondamente interconnesso, allora riusciamo a immaginare che le nostre azioni e le nostre scelte possano avere conseguenze positive per l’ambiente.
Di più: una volta riannodata la relazione non avremo più bisogno di divieti, regole e paletti. Perché risulta spontaneo e imprescindibile prendersi cura di qualcosa a cui siamo legati a filo doppio!

©starmaro (IStock)
Lei parla di ripensare da zero l’educazione ambientale. Che ruolo ricopre la scuola in questo cambio di paradigma?
La scuola italiana, oggi, per molti aspetti è ancora “figlia” della riforma Gentile del 1923. Una scuola pensata per una società del tutto diversa da quella di oggi. Allora si trattava di educare una popolazione principalmente contadina e a cui mancavano molti strumenti culturali, ma che aveva con la natura una relazione salda.
Oggi ai nostri bambini manca completamente quel bagaglio di esperienze. Io stessa non le ho più. I miei genitori sì: sanno come si fa un innesto su una pianta, sono in grado di valutare lo stato di salute di un albero, di una foglia, sanno di che cosa ha bisogno la terra per portare frutto. Possiedono competenze che abbiamo perso quasi del tutto e che a scuola in genere oggi non vengono insegnate.
Pensa a un approccio esperienziale e interattivo con la natura? Anche in Italia cominciano a diffondersi spazi che integrano attività in aula e all’aperto…
Solo se riusciamo a conoscere e riconoscere di far parte di un pianeta dove tutto è profondamente interconnesso, riusciamo a immaginare che le nostre azioni e le nostre scelte possano avere conseguenze positive per l’ambiente.
Quali sono i segnali più evidenti di questa cesura fra uomo e ambiente?
Un altro esempio: una delle prime cose che si imparano alla scuola primaria studiando geografia è come riconoscere un paesaggio antropico da uno naturale (i miei figli ci sono passati da poco). Anche questo è espressione di un rapporto problematico. Dividere ciò che è di origine antropica da ciò che è naturale significa collocare l’uomo al di fuori della sfera della natura. Così l’ambiente diventa qualcosa che possiamo sfruttare in modo indiscriminato perché ci è estraneo. Lo stesso concetto di natura incontaminata è falso. Semplicemente, non esiste. Perché su questo pianeta non c’è un metro quadro che non risenta del clima e dell’aria ormai profondamente alterati dalle attività umane. Persino parchi naturalistici e aree protette richiedono una costante presenza umana, dalla gestione dei fuochi al monitoraggio delle specie animali e vegetali.
Lei sostiene quindi che non esiste la contrapposizione tra “naturale” e “artificiale”.
Ci può fare un esempio di come la scuola può sviluppare questo rapporto più intenso con la natura?
Riporto l’esempio della scuola dei miei figli. Lo scorso anno gli insegnanti della primaria hanno scelto di portare le classi in montagna: tre giorni in rifugio. Molti studenti non avevano mai camminato su un sentiero e i docenti hanno dovuto insegnare loro come si fa. Può sembrare un esercizio banale, non lo è affatto.
I miei figli, che frequentano la secondaria, sono invece andati alle Cinque Terre. L’escursione prevedeva che la classe fosse accompagnata da un botanico, un biologo, un ecologo, un oceanografo: quante cose da vedere e imparare!
Claudia Pasquero
Claudia Pasquero è docente di Oceanografia, Meteorologia e Climatologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Ha insegnato al Caltech (California Institute of Technology) di Pasadena, alla UCLA e alla UC di Irvine. Collabora con l’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) allo sviluppo di missioni satellitari relative allo studio del clima.