
Illustrazioni del Primo secolo negli Stati Uniti.
1873 – Macchina da stampa monocilindrico brevettata
I mezzi digitali in uso nelle scuole comprendono computer, tablet, lavagne interattive multimediali (LIM), registri elettronici, piattaforme di e-learning e programmi di intelligenza artificiale. Questi dispositivi e software offrono l’accesso a una vasta gamma di risorse online, aprendo nuove possibilità didattiche. Tuttavia, è fondamentale che il loro utilizzo stimoli un’interazione attiva tra docenti e studenti, senza limitarsi a un impiego passivo.
La questione dell’influenza degli strumenti sulla conoscenza non è nuova. Innovazioni come la scrittura e la stampa furono accolte con scetticismo in passato. Platone, nel Fedro, racconta il mito di Theuth, dio egizio della sapienza, che offre la scrittura al re Thamus, il quale la rifiuta, temendo che indebolisca la memoria e quindi la conoscenza. Analogamente l’invenzione della stampa di Gutenberg suscitò timori, prima di rivelarsi una rivoluzione culturale inarrestabile, incapace tuttavia di cancellare la scrittura a mano. Guardando in prospettiva, sembra legittimo affermare che ogni nuova risorsa non cancella le precedenti, ma le affianca, ampliando il ventaglio delle competenze disponibili.
In questo contesto diviene cruciale il ruolo dell’insegnante, che può trasformarsi da detentore del sapere a mediatore esperto, una sorta di timoniere nel mare magnum dell’accesso sterminato alle conoscenze, pronto a evitare che i mezzi digitali siano impiegati come semplici distributori di contenuti preconfezionati.
In tal senso la scuola del futuro potrebbe potenziare la capacità di formulare domande pertinenti e di condurre ricerche autonome. Questa transizione presenta una sfida affascinante. Naturalmente, tra i pericoli più evidenti vi sono il rischio di plagio e l’appiattimento dei contenuti, problemi però che esistono da sempre, anche con libri, manuali e biblioteche.
Gli strumenti, in genere, sono neutri, tutto dipende dall’uso che se ne fa. La tecnologia può essere un’opportunità per la formazione, spetta tuttavia agli educatori sfruttarla al meglio. Non si tratta di scegliere tra innovazione e tradizione, ma di arricchire reciprocamente entrambe in un processo che guarda al futuro senza dimenticare il passato.

Cuneiforme assiro e sueriano antico della Mesopotamia
Bene, fino a questo punto l’articolo che state leggendo è stato scritto da un software che utilizza l’intelligenza artificiale per produrre testi, un chatbot disponibile in rete e gratuito. Per ottenere il contenuto dell’articolo ho annotato per un paio di settimane le mie idee in ordine sparso, poi ho formulato il prompt, ovvero le istruzioni da dare al programma, ho inserito le 5039 battute scritte manu mea e chiesto all’applicazione “trasforma questi appunti in un articolo coerente”. Eliminati i titoli dei paragrafi, che avrebbero reso il gioco subito riconoscibile, lo schermo del computer ha restituito 4349 battute. Troppe e troppo noiose, essendo prodotte con una scrittura automatica, che peraltro nulla ha comunque a che vedere con le estrose invenzioni del Surrealismo. Ho quindi dato nuove istruzioni al medesimo software per ridurre il testo di un terzo, togliendo un po’ di ripetizioni. Il risultato in 3055 caratteri, spazi inclusi, l’avete appena letto. Un po’ come quando il macellaio confeziona gli hamburger e da cento grammi di manzo, passati nel macina-carne, escono fuori i medaglioni belli tondi, pronti da cuocere. Per finire, ho sottoposto la polpa testuale processata a un programma antiplagio, che ha stimato un 60% di paternità da parte dell’intelligenza artificiale.
Il testo rispecchia le mie idee? Bella domanda, diciamo di sì, a grandi linee. In buona misura, però, non corrisponde al mio modo di scrivere e, quindi, in ultima analisi non rispetta fino in fondo neppure il mio modo di pensare. Gli appunti, sminuzzati e ricomposti, anche se scorrono con regolarità, lo fanno come un limaccioso fiume di polenta con poco sale e scarso sugo, incanalato tra gli argini artificiali di un paesaggio pianeggiante, infiacchito dalle brume… eccetera, eccetera. Perché allora procedere in questo modo? Bella domanda anche questa. Propongo solo un buon motivo: ci capita sempre più spesso di leggere articoli su questo tema e molti peccano di astrattezza, che si tratti di requisitorie o di perorazioni per partito preso. Credo, invece, che sia più interessante ragionare sul concreto, sviluppare idee direttamente dall’esperienza. Riprendo una frase che il chatbot ha puntualmente registrato: “… può risultare proficuo un approccio più equilibrato e sperimentale, per valutare realisticamente l’impatto delle tecnologie sull’istruzione”.
Operare con un esempio pratico può essere un utile punto di partenza. E il punto di partenza genera subito nuovi interrogativi: che cosa possono produrre gli strumenti digitali? Possono davvero aiutare sviluppo, crescita e formazione o rischiano di essere semplici scorciatoie? Sono una sfida per il nostro cervello o rischiano di intorpidirlo? Avrà ragione Theuth o Thamus? Bella domanda.
è nato a Torino nel 1960. Insegna italiano e latino presso il liceo classico “D’Azeglio” della sua città. Dal 1995 ha insegnato al Master in Tecniche della narrazione della Scuola Holden, di cui dal 2000 al 2006 è stato anche direttore didattico. Ha pubblicato il libro Storie dell’arte (Rizzoli 2000). Dal 2007 al 2009 ha tenuto la rubrica Pianeta Scuola per il quotidiano “la Repubblica”. Per Einaudi ha pubblicato Disegnare un elefante. L’insegnante di liceo come professione (2024). Ha curato progetti e seminari di didattica della scrittura per vari istituti e società: Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, Iulm di Milano, Ied di Torino, Politecnico di Torino, Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, UniCredit, Heineken, Fondazione Feltrinelli, Circolo dei Lettori e Festival Torino Spiritualità.