Professor Paniagua, ci spiega meglio come avete inteso l’innovazione didattica nella vostra ricerca?
Oggi c’è la necessità di aumentare il livello qualitativo dell’educazione. I dati dicono che nel mondo la maggior parte dei bambini ha accesso alla scuola, ma si sta ampliando sempre di più il divario qualitativo tra le scuole dei paesi ad alto reddito e quelle a basso reddito.
Detto questo, io credo che oggi esista una retorica dell’innovazione che ruota attorno a casi singoli di successo, a “super scuole” o a “super insegnanti”. In alcune classi per esempio arrivano robot all’avanguardia o computer di ultima generazione. Queste sono innovazioni, ma non credo che possano portare a un cambiamento più ampio. C’è poi tanto rumore sulle riforme dei curricula e sulle valutazioni, si cerca di rendere tutto misurabile. Ma tra i contenuti dei programmi e i voti da dare c’è un gap che è lo spazio dell’insegnamento. Il nostro lavoro si è concentrato proprio sulle innovazioni pedagogiche, che hanno per protagonisti i maestri e le maestre e le reti tra scuole diverse.
Quindi avete analizzato le diverse pratiche di insegnamento messe in atto dagli insegnanti?
Avete identificato sei raggruppamenti di innovazioni pedagogiche. Ce li può spiegare in modo sintetico?
– il primo cluster è quello del blended learning, apprendimento misto. Abbiamo raggruppato qui tutti i metodi di insegnamento non sincronici, che invertono le dinamiche dell’insegnamento e dell’apprendimento e che non si basano più su lezioni esclusivamente frontali. Ad esempio, i contenuti vengono forniti in anticipo agli studenti e il tempo in classe si usa poi per rispondere alle domande o impostare interazioni più complesse;
– il secondo cluster è quello del computational thinking, pensiero computazionale. Qui si trovano quegli approcci che puntano a insegnare come vengono usati i computer negli ambienti reali. Non è solo insegnare a usare una macchina, ma capirne i processi di funzionamento, la programmazione e anche le potenzialità per la vita democratica e sociale;
– c’è poi il cluster dell’experiential learning, cioè tutti quegli approcci basati sull’esperienza reale e sul problem solving;
– altro cluster è quello dell’embodied learning, che comprende tutte le pratiche che prevedono l’uso del corpo e della creatività;
– il raggruppamento delle multiliteracies comprende invece le pedagogie sui linguaggi, dalle lingue straniere ai nuovi modi di comunicare, come le e-mail o i social media;
– infine, il cluster della gamification: con queste pratiche gli insegnanti si ispirano all’architettura di giochi e videogiochi per rendere più dinamiche le proprie lezioni.
Innovare è creare un contesto in cui gli insegnanti riescano a lavorare insieme, a fare rete e a riflettere sulle competenze di cui hanno bisogno per trovare soluzioni nuove ai problemi.
In molte scuole però ci sono risorse limitate. Come si può innovare anche in questi contesti?
Che cosa ha imparato con questo lavoro di ricerca?
Per approfondire: report Teachers as Designers of Learning Environments
©Paniagua and Istance, Teachers as Designers of Learning Environments (2018)
Alejandro Paniagua
Alejandro Paniagua, con una formazione in filosofia e antropologia con un particolare interesse alle pratiche educative, è oggi lettore presso la Universitat Oberta de Catalunya e si occupa di educazione e scienze sociali. Collaborando con OCSE e Brookings Institution è tra gli autori dei report Teachers as designers of learning environments: the importance of innovative pedagogies e Learning to Leapfrog: Innovative Pedagogies to Transform Education.