Partendo dalla sua ultima esperienza con CinemAmbiente, che ruolo gioca il cinema nel campo dell’educazione ambientale?
Far vedere film incentrati su tematiche ambientali ai bambini, ai ragazzini e ai ragazzi delle scuole superiori ha un impatto decisamente forte. E direi che ha una duplice valenza: oltre che per la tematica ambientale, spesso scopriamo che molti ragazzi non sono mai entrati in un cinema e, quindi, portarli in sala in occasione di CinemAmbiente è un’esperienza doppiamente formativa.
Per rendere più efficace il messaggio e conquistare l’attenzione degli spettatori, scegliamo soprattutto film che raccontano storie, non documentari didattici. Se, ad esempio, vogliamo spiegare loro come i cambiamenti climatici causano l’innalzamento degli oceani e come questo fenomeno, a sua volta, per molte popolazioni del Bangladesh implichi la necessità di abbandonare le cittadine costiere o accettare di vivere perennemente sommersi, proponiamo storie di persone. Cerchiamo di coinvolgerli emotivamente, perché se un ragazzino di dodici o tredici anni vede sul grande schermo la storia di Afrin in Bangladesh (il film Afrin nel mondo sommerso è stato proposto alle scuole durante l’edizione 2024 del festival, N.d.R.), che è costretta a vivere praticamente su una zattera, sicuramente l’impatto è maggiore e si fa un’idea concreta delle conseguenze dell’innalzamento degli oceani.
Come costruisce queste occasioni di incontro e confronto CinemAmbiente?
Per quanto riguarda le proiezioni, come vengono strutturati gli incontri con le scuole?
Un fotogramma di Afrim nel mondo sommerso (2023, regia di Angelos Rallis).
Com’è la risposta degli alunni?
Questo percorso, in cui il cinema diventa il punto di partenza di un percorso di formazione su tematiche ambientali, si rivela efficace?
Una proiezione all’aperto del CinemAmbiente. Sullo schermo, un fotogramma del cortometraggio L’ultima ape (2023, Studio Mu Film, disegni di Monica Torasso).
E la parte di concorso rivolto agli studenti come funziona? Che risposte avete?
Ampliando lo sguardo oltre la tematica ambientale, partendo anche dalla sua esperienza al festival Sottodiciotto, che ruolo può giocare il cinema in un percorso educativo?
E per la sua esperienza, qual è il rapporto tra scuola e audiovisivo?
Credo che l’educazione al cinema, che è poi l’educazione agli audiovisivi, sia fondamentale. I ragazzi stanno tutto il giorno davanti a uno schermo, a guardare video, se lo facessero con maggiore consapevolezza non sarebbe male.
Si diceva che le nuove generazioni prediligono gli schermi piccoli degli smartphone a quello grande delle sale. Come si può riaprire un dialogo?
Credo che sia quello che tutti ci stiamo domandando. Per i festival, proporre un programma alle scuole, per cui sono i professori che prendono la classe e la portano al cinema, è la soluzione per avere pubblico giovane. Nel caso specifico, poi, CinemAmbiente si propone come utile strumento di educazione ambientale, offrendo spunti e contenuti specifici per l’insegnamento dell’Educazione civica.
Di conseguenza, abbiamo una grande adesione da parte delle scuole. Ma portare i ragazzi al cinema in autonomia, in questo momento, nessuno sa come farlo, anche se poi ci sono film come Everything Everywhere All at Once che riempiono le sale di giovanissimi e non si riesce a capire come sia nato questo passaparola.
Ma pensare a una ricetta per portare i giovani in sala… Non riesco nemmeno con i miei figli. Neanche quando le proiezioni sono gratuite.
Lia Furxhi
Laureata in Storia e Critica del Cinema all’Università degli Studi di Torino, Lia Furxhi ha lavorato come production manager con importanti registi tra cui Davide Ferrario, Daniele Gaglianone e Gianluca Tavarelli. Ha collaborato all’organizzazione e alla programmazione di diversi festival (FilmBreve, Sottodiciotto Film Festival e CinemAmbiente, di cui è direttrice dal 2024), e alla creazione del Centro Nazionale del Cortometraggio. È autrice di diverse pubblicazioni tra cui Le forme del corto (2007), dedicata al cortometraggio italiano.