Quando parliamo di foreste e incendi boschivi, è essenziale non cadere in stereotipi. La prima chiave è comprendere che gli ecosistemi non sono statici, ma in costante cambiamento, e il fuoco può esserne parte integrante. Ma fino a che punto?
Il fuoco esiste da 400 milioni di anni. In questo arco di tempo, molte specie vegetali si sono adattate al “regime di incendi” caratteristico dell’ecosistema in cui hanno vissuto, fatto da determinati valori di frequenza, severità e stagionalità del danno da fuoco. Per esempio, alcune piante hanno una corteccia spessa che le protegge dal calore, altre liberano semi solo dopo un incendio, sfruttando le condizioni favorevoli che si creano: più luce e meno competizione. Finché il fuoco continua a avvenire nelle stesse condizioni con cui l’ecosistema si è co-evoluto, l’ecosistema è capace di rigenerarsi. Non dobbiamo quindi preoccuparci troppo per le sorti della foresta se un fuoco, che a noi pare catastrofico, si manifesta con caratteristiche simili a quelle a cui la foresta è abituata. Dopo un incendio di questo genere, il bosco è sempre in grado di ritornare: certo, potrebbe farlo con specie diverse, pioniere e specializzate nella ricolonizzazione iniziale di aree degradata, e potrebbe metterci molto tempo (anche anni o decenni). Un tempo che potremmo non essere disposti ad attendere se non possiamo fare a meno, neppure temporaneamente, dei benefici della foresta da cui dipende la nostra sopravvivenza, come la protezione da frane e valanghe nei territori montani.
Ma se questi equilibri vengono alterati dal cambiamento climatico, che con l’aumento delle siccità rende la vegetazione molto più infiammabile, o dall’intervento umano diretto, come quando si utilizza il fuoco per deforestare foreste tropicali, si rischia di mandare l’ecosistema “fuori equilibrio” e superare la sua capacità di resistere al fuoco o rigenerarsi. Questo può significare che, contrariamente a quanto spiegato poco fa, la foresta potrebbe non tornare più tale, trasformandosi in savana o in deserto.
È cruciale anche smontare il mito del piromane: è vero che in Europa gran parte degli incendi è causata dall’attività umana, ma tra le cause umane, circa un terzo sono le cause colpose o involontarie e due terzi quelle volontarie, tra le quali la follia non si annovera se non rarissimamente ma predominano, invece, gli obiettivi di protesta, speculazione economica, cattiva gestione delle risorse naturali, ad esempio la pratica illegale di dare fuoco a un pascolo per rigenerarlo.
Inoltre, la parte più pericolosa dell’incendio non è l’innesco ma la sua capacità di propagarsi su ampie superfici. Questo avviene quando il bosco è “pronto” a bruciare. L’infiammabilità aumenta sia a causa della crisi climatica, che dissecca la vegetazione, sia a causa dell’abbandono di molte aree e del ritorno nella foresta, almeno in Europa, che aumenta le “autostrade verdi” che il fuoco può percorrere. Per questo motivo, la prevenzione degli incendi non si fa solo con pene, leggi e sorveglianza, ma con tecniche e interventi di gestione della vegetazione, modificando la forma, la struttura e la continuità di un bosco per provare a renderlo meno infiammabile.
Come parlare quindi di incendi in modo corretto? Infondere paura non aiuta. Le soluzioni al problema incendi esistono, sia attraverso la mitigazione delle cause climatiche, cioè abbandonando l’uso dei combustibili fossili, sia attraverso pratiche di adattamento come gli interventi per ridurre l’infiammabilità del bosco. Sottolineare i pericoli senza parlare delle soluzioni rischia di suscitare ansia, negazione o rassegnazione nei più giovani (e non solo). È più efficace invece mostrare esempi positivi, illustrando come le comunità hanno gestito con successo il problema degli incendi e quali misure si possono mettere in pratica per la loro previsione e prevenzione (per esempio il progetto PreFreu in Valle Susa). Il secondo messaggio da dare è di prestare attenzione alla tentazione di attribuire le colpe di un fenomeno che ci allarma e che non comprendiamo appieno a improbabili capri espiatori, come i piromani, anziché riconoscere l’effetto dei cambiamenti climatici e dei cambiamenti di uso del suolo sulla propagazione del fuoco. Il terzo è non cadere nel pensiero magico: droni o telecamere in bosco non possono da soli risolvere un problema molto più complesso. Come tutti i problemi ambientali, anche gli incendi sono un fenomeno multi-causale. Il cambiamento climatico, l’abbandono delle aree rurali e l’aumento dell’esposizione di strutture e infrastrutture umane, costruite in zone vulnerabili (“interfaccia urbano-foresta”) sono ugualmente responsabili del problema e congiurano nel determinarlo.
Uomo e natura sono sempre connessi in un unico ecosistema, e si influenzano con cause e effetti anche su lunghe distanze. Così anche noi siamo legati alle foreste e agli incendi che avvengono nelle più diverse parti del mondo: attraverso il nostro impatto sul clima della Terra e sulla deforestazione tropicale, attraverso le scelte su come gestire i territori dei nostri rappresentanti politici, attraverso gli effetti degli incendi sulla nostra resistenza ai dissesti idrogeologici e sulla nostra salute, e attraverso la possibilità di comprendere meglio il fuoco e chiedere che venga fatta una prevenzione migliore e basata sulla scienza.